Maggio 2023
Trascorsi quindici mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, anche stavolta il dr. Domenico Vecchioni, ambasciatore d’Italia, scrittore, storico, saggista collaboratore di riviste di politica internazionali e d’intelligence e autore di oltre trenta volumi, con le sue preziose risposte ci fornisce un’istantanea di questo periodo non certo facile.
Come sono cambiati gli equilibri geopolitici con l’invasione dell’Ucraina?
“Credo che sia definitivamente tramontata l’era unipolare, con predominanza americana, seguita al crollo del comunismo e dell’Unione Sovietica nel 1991. La guerra russo-ucraina ha fatto emergere con maggiore evidenza nuovi attori protagonisti sulla scena geopolitica mondiale. La Cina, innanzitutto, che da tempo estende la sua influenza pseudo-coloniale su varie parti del mondo, dall’Africa al Sud America (e, fino a poco tempo fa, alla stessa Europa), dove grazie ai suoi ingenti investimenti, ai suoi crediti super agevolati, alle sue disponibili maestranze, alle sue consistenti comunità residenti all’estero, è riuscita ad attrarre nella propria orbita numerosi paesi. C’è poi l’India, potenza nucleare con una popolazione superiore a quella della stessa Cina (un miliardo e 400 milioni), che si mostra pronta a giocare un ruolo determinante nello scacchiere orientale. Non dobbiamo poi dimenticare il Brasile, paese-continente, desideroso di conquistare spazio sulla scena politica mondiale. La stessa Russia, che sulle ceneri dell’URSS sembrava relegata a ruolo di potenza regionale, sta cercando di riprendere il suo posto, riacquisendo, almeno in parte, lo spazio e i territori perduti. La guerra contro l’Ucraina avrebbe dovuto isolarla dal mondo e le sanzioni occidentali avrebbero dovuto distruggere la sua economia. Non è però accaduto e nessuno sa ora quali potranno essere gli sviluppi della guerra e le conseguenze della continua escalation militare, alimentata anche dell’UE e dalla NATO che forniscono all’Ucraina armi sempre più offensive, addestramento militare sempre più sofisticato, appoggio intelligence sempre più ampio.
L’UE in occasione della guerra avrebbe potuto e dovuto dimostrare tutta la sua lungimiranza politica, la sua saggezza storica, la sua tradizionale expertise diplomatica tesa al compromesso, alle soluzioni pacifiche dei conflitti e al mantenimento della pace. Ha invece scelto senza alcuna esitazione l’opzione bellicista, incalzata da Washington e dalla Nato, non tenendo conto che non sempre gli interessi di Washington coincidono con quelli dell’Europa. E in questa circostanza l’Europa ha scelto di servire gli interessi americani in una guerra dove si combatte non per la democrazia e la libertà (l’Ucraina difficilmente può essere considerata un paese libero e democratico), ma per una questione d’influenza politica e limiti territoriali, dai contorni ottocenteschi, con torti e ragioni in entrambi i contendenti. Le chiavi della pace in ogni caso non sono né a Bruxelles (UE e Nato), né a Kiev, sono piuttosto negli Usa. Se Washington sceglie la pace, sarà la pace e tutti gli alleati si adegueranno. Il pericolo però è che se Washington sceglie la guerra, anche in questo caso tutti gli alleati si adegueranno e anche noi così rischiamo di essere direttamente coinvolti in una guerra che non ci appartiene”.
Secondo lei quali sono le cause alla base dell’aumento dei regimi illiberali, autocratici che qualcuno chiama anche democrature?
“Premetto che io mi ritrovo perfettamente nella celebre battuta di Winston Churchill: “La democrazia è la peggiore forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle che si sono sperimentate finora …”. E tuttavia indubbio che la democrazia conosce oggi eccessi, distorsioni, complicazioni e necessita di continui aggiornamenti. Disfunzioni dovute nella maggior parte dei casi alla corruzione, al basso livello culturale e morale di certe classi dirigenti che vedono nell’attività politica solo un mezzo per assicurarsi posizioni di potere e opportunità di arricchimento personale. Il che finisce per determinare un crescente distacco dalla politica (con la p minuscola) delle classi medie, che hanno in odio la mentalità “affaristica” di certi uomini politici, rigettano il nepotismo esasperato, respingono alcuni metodi francamente mafiosi e criticano la mancanza d’ideali (e spesso anche d’idee) nella gestione della cosa pubblica. La politica “politicante” insomma. Tutto ciò genera una marcata sfiducia nel sistema democratico (la gente non va più nemmeno a votare …) e porta a pensare che i sistemi autocratici, se non dittatoriali, funzionino meglio delle democrazie. Almeno governano con più efficienza e determinazione. Ma questa è una pia illusione. Mentre, infatti, la democrazia coltiva in sé i germi della critica e riesce anche ad auto correggersi tramite le libertà politiche e i controlli sociali che esercitano i loro cittadini, i sistemi “forti” non hanno questa stessa capacità di auto correggersi perché non consentono la libertà di espressione e di parola. Così corrono il rischio di esasperare i propri errori e di persistere nell’eccesso, generando situazioni di conflitti che possono essere controllate solo con dure forme di repressione e immani sofferenze per la popolazione. In definitiva, secondo il pensiero di Churchill, la peggiore delle democrazie è da preferire alla migliore delle dittature, in attesa magari che durante il XXI secolo emergano inedite forme di governare, ancora tuttavia da immaginare. Insomma, in due parole conclusive, la democrazia può riconoscere i propri errori e correggerli, le autocrazie invece raramente sono in grado di farlo”.
Trascorso oltre mezzo secolo dalla decolonizzazione come mai tante ex colonie non sono riuscite a dotarsi di una classe politica e dirigente efficiente e democratica?
“Secondo me perché la decolonizzazione è avvenuta in maniera caotica e frettolosa, sotto l’incalzare dell’espansionismo sovietico, che tendeva a cacciare gli europei dall’Africa, ma solo perché aspirava a prenderne il posto, non per un superiore ideale di libertà e di indipendenza. Così i paesi africani sono diventati indipendenti in odio alle vecchie “madrepatrie”, non in collaborazione con loro, in un processo che avrebbe richiesto più tempo, maggiore gradualità, proprio per formare adeguatamente le nuove classi dirigenti, avendo un obiettivo comune. Nella fretta del momento invece sono nati nuovi Stati sulla base dei vecchi confini coloniali, stabiliti dalle potenze dell’epoca solo in base ai loro rapporti di forza, non seguendo cioè alcun criterio “nazionale” o quanto meno di armonizzazione tribale. I confini coloniali sono stati confermati tel quel. Così la classe dirigente della decolonizzazione si è ritrovata a brevissimo termine a dover gestire, ancora impreparata, il processo d’indipendenza del proprio paese, dove gli europei venivano cacciati (perdendo un patrimonio di expertise insostituibile), dove l’Urss non era in grado di fornire l’assistenza economica e finanziaria auspicata e dove esplodevano i conflitti tribali rimasti latenti sotto il regime coloniale. I tentativi di stabilire istituzioni democratiche sono rapidamente falliti a causa dell’inevitabile fenomeno della corruzione cui erano esposti i nuovi “padroni” (spesso i fondi della “Cooperazione allo sviluppo” andavano a finanziare guerre civili e colpi di Stato), il caos ha preso il sopravvento come conseguenza dell’inefficienza dei nuovi dirigenti palesemente non all’altezza della situazione, dotati di una visione politica gravemente condizionata dall’ideologia marxista-leninista. Con la conseguenza che a sessant’anni dalla decolonizzazione, cioè dopo la cacciata, a volte anche violenta, degli europei, oggi l’aspirazione massima di milioni di africani è venire a vivere in Europa, anche affrontando un viaggio che può loro costare la vita. Non si può dire che la decolonizzazione sia stata un grande successo! Bisognerebbe invece invertire il corso delle migrazioni. Non sono gli africani che devono emigrare in Europa, ma sono gli europei che dovrebbero tornare in Africa. Non certo per un nuovo colonialismo, oggi impraticabile e inaccettabile. Ma per promuovere insieme, in un’inedita, coraggiosa e leale partnership, i meccanismi per uno sviluppo autonomo dei vari paesi dell’Africa, non più basato cioè sull’assistenzialismo, quanto piuttosto su un razionale e moderno sfruttamento delle proprie risorse e da una consapevole e concorde visione del futuro”.
Le profonde crisi sovrapposte degli ultimi anni hanno reso il mondo molto più insicuro, ci può essere qualche miglioramento?
“Mah, non saprei dire. Qualche miglioramento ci potrà forse essere se aumenteranno la credibilità e la capacità di intervento delle grandi Organizzazioni internazionali create per promuovere la pace e il progresso, rendendo appunto il mondo un posto più sicuro. Penso in particolare all’ONU e, per quanto riguarda l’Europa, all’OSCE. Entrambe purtroppo si sono dimostrate del tutto impotenti nel cercare di disinnescare la mina russo-ucraina. Non mi pare, in effetti, che abbiano svolto nella crisi alcun ruolo. Avete forse visto il Segretario Generale dell’ONU fare la navetta tra Kiev e Mosca per evitare l’esplosione del conflitto? Qualcuno dei lettori conosce chi è il Segretario Generale dell’Organizzazione per Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), un organismo istituito proprio per mantenere la pace sul nostro continente?
Dobbiamo forse rimpiangere la guerra fredda, quando la pace era assicurata dal terrore delle grandi potenze di essere reciprocamente distrutte in caso di conflitto diretto e nucleare? La guerra, di conseguenza, non poteva essere “calda”, ma solo “fredda”, indiretta, cioè combattuta tramite Sati terzi o attraverso le reti spionistiche. Trionfava la strategia del MAD (Mutual Assured Distruction/reciproca distruzione assicurata). Ora invece sembra che il tabù del nucleare non sia più così assoluto, tanto più che una super potenza nucleare è direttamente coinvolta nella guerra. Nell’attuale quadro politico-militare non si può escludere che a qualcuno cominci a piacere la dottrina nucleare del “First Strike”, cioè di un attacco a sorpresa per tentare di impedire all’avversario di reagire in maniera adeguata … Lo scenario di un conflitto nucleare insomma non sembra più del tutto impensabile, è diventata agli occhi di molti un’opzione possibile. No, non credo che il mondo sia oggi un posto più sicuro rispetto a 70 anni fa! Purtroppo”.
Eno Santecchia
Maggio 2023
Le immagini sono state scattate durante un recente viaggio in Italia, Grecia e Turchia.



